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16mila pezzi al giorno – Intervista a due lavoratori della logistica

Zara è il marchio di punta di Inditex, la multinazionale dell’abbigliamento fondata da Amancio Ortega, uno degli uomini più ricchi del mondo. L’azienda, che nel 2019 ha fatturato 18,9 miliardi di euro, si regge su una catena del valore fortemente integrata. Numerose inchieste hanno rivelato un complesso sistema di sfruttamento basato sull’outsourcing della produzione, con casi di lavoro semi-schiavile in Brasile, Turchia e Bangladesh.

Nei suoi negozi in Italia, Zara – come tanti altri colossi della distribuzione – si regge su un sistema di appalti per ridurre il costo del lavoro nelle pulizie, nella logistica e nei magazzini. Già a febbraio i lavoratori di Roma e Milano, organizzati con il SI Cobas, hanno denunciato il tentativo dell’azienda di passare allo staff leasing, cioè al lavoro interinale.

Nella fase iniziale della pandemia Zara, di fronte alla contrazione delle vendite, ha deciso di riorientarsi verso l’e-commerce, comprimendo al tempo stesso il costo della manodopera nei magazzini e nei negozi attraverso il cambio degli appalti. All’inizio della quarantena la società Loginord, che detiene l’appalto per le pulizie e la logistica, ha sospeso il lavoro presso Zara, lasciando nella totale insicurezza più di 2mila lavoratori in tutta Italia. Alcuni lavoratori delle pulizie non sono stati riassunti dopo il cambio appalto, mentre gli operai addetti alla logistica – ora in cassa integrazione – rischiano di perdere il posto.

In tutta Italia i lavoratori hanno organizzato scioperi e agitazioni per la loro stabilizzazione, al grido di «Zara ladra di diritti». Abbiamo incontrato due di loro al presidio organizzato dal SI Cobas davanti alla sede di Zara di via Roma, a Torino. F. e A., 32 e 31 anni, sono studenti di ingegneria al Politecnico di Torino; lavorano per pagarsi gli studi e l’affitto, ma con la pandemia sono aumentate la precarietà e le incertezze sul futuro.

 

In che cosa consisteva il tuo lavoro da Zara?

F. Scarichiamo i camion; apriamo i cartoni, togliamo la plastica; lasciamo il lavoro ben sistemato per quelli dei magazzini. Il magazzino è sotterraneo, dietro al negozio di via Roma, a circa 100 metri. La nostra squadra era circa di diciassette persone.

Quali erano le vostre condizioni di lavoro?

A. Condizioni difficili. Quelli che lavorano in via Roma iniziano il lavoro alle 9 di sera; noi che lavoriamo alle Gru – siamo circa sedici – iniziamo alle 11. Scarichiamo il camion: se è grosso, ci sono migliaia di pezzi nelle scatole; i lavoratori iniziano a scaricare il camion e – senza pause – aprono i sacchetti e mettono tutto in ordine per quelli del magazzino, che lavorano al mattino. Alle Gru iniziamo il lavoro alle 11: lì ci sono Zara, Pull&Bear, Stradivarius, tutti del gruppo Inditex. Ogni volta arriva una certa quantità di merce: noi potevamo avere 16000 pezzi da sistemare in sei ore (quindi 1000 per ciascuno di noi sedici), ma è difficile farlo, perché ci vogliono più di sei ore. Qualche giorno rimaniamo fino alle 8 e prendiamo solo cinque ore: dalle 11 alle 8 se fai il calcolo sono circa otto ore, ma ci pagano per cinque ore. Lavoravamo di notte, però in busta paga ce le pagavano come ore diurne.

Lì alle Gru, ma anche qui in via Roma, la maggior parte sono studenti che per mantenere se stessi fanno un lavoro che è sfruttamento (possiamo chiamarlo così).

F. Un po’ pesante; i soldi non sono sufficienti. Per esempio, nel mese di settembre c’era un lavoro pesante, con un piccolo aumento del salario: la merce arrivava in grande quantità.

 

E con che tipo di contratto?

F. Con un contratto a tempo determinato di 14 ore alla settimana.

A. ha un contratto a tempo indeterminato. Altri addetti a camion/logistica lavoravano con contratto a chiamata.

 

E il salario?

F. Una media di 300-400 euro al mese. Dipende; non è fisso.

A. È variabile. Poi ogni mese ti tolgono delle ore: magari fai otto ore, ma te ne danno cinque. Non abbiamo una tessera, non si registrano le entrate: si fa a mano, quando finisci e vedi la busta paga trovi che è come se avessi fatto solo cinque, quattro ore in totale.

 

Che cosa è successo con la pandemia?

F. Con la pandemia hanno mandato un’email e hanno detto che a causa del Coronavirus avevano sospeso il lavoro. Verso la fine, abbiamo scoperto che la ditta con cui stiamo lavorando non è più con Zara. Ho fatto i primi cinque anni di lavoro nella stessa cooperativa, poi la ditta è cambiata – da meno di un anno, sei mesi.

A. Zara ha tanti appalti: pulizia, magazzino, camion/logistica. Pulizia e camion/logistica li ha dati alla nostra azienda. Quelli che lavorano nelle pulizie sono circa il 20%, quelli che lavorano nei camion/logistica sono quasi l’80%. In questo periodo del Coronavirus, Zara – senza avvisare la gente – ha cambiato l’appalto, per ora solo quello delle pulizie. Di circa 300 persone impiegate in tutta Italia nelle pulizie non sono state riassunte venti persone. Le venti persone delle pulizie sono rimaste fuori, e non si sa per quelle dei camion – che sono in Italia quasi 2000. Ma alcuni di questi sono stati fregati: sono stati licenziati il 31 marzo, perché avevano un contratto a chiamata. Poi conosco una persona a cui hanno truccato la firma sul contratto per cambiarlo da pulizia a logistica, e non è stata riassunta.

Qua alle Gru a gennaio hanno fatto entrare alcuni lavoratori del magazzino attraverso Manpower [agenzia interinale, ndr]: hanno cambiato i loro contratti da operai delle pulizie e della logistica, così cambia il contratto nazionale di riferimento. A Milano e a Roma stanno ancora lottando per essere assunti non tramite un’azienda come Manpower, ma attraverso una ditta che tenga conto del fatto che loro sono operai della logistica, per non perdere i diritti previsti dal contratto nazionale della logistica.

 

Qual è il ruolo della ditta?

A. Prima lavoravamo in un’altra cooperativa (Europe Clearing), poi siamo stati trasferiti a un’altra che si chiama Loginord. Qua a Torino ci sono tanti che lavorano con Loginord. Quando chiamiamo l’azienda non rispondono: non sappiamo nemmeno fino a quando siamo in cassa integrazione. Quelli che hanno un contratto a tempo indeterminato non sanno neanche quanto saranno ancora con Loginord. Abbiamo solo ricevuto il messaggio che hanno fatto domanda per la cassa integrazione. L’azienda sta sfruttando la cassa integrazione perché per ora non può licenziare; magari dopo, a fine agosto, inizieranno a licenziare.

Ora abbiamo sentito che ci sono altre aziende che vogliono l’appalto dei camion. Zara non dice se ha già dato il lavoro a un’altra azienda, ma voci dicono che stanno cambiando appalto. Ora con l’avvocato e i SI Cobas dobbiamo capire se questa nuova azienda prenderà l’appalto e riassumerà tutti i lavoratori.

Noi siamo un gruppo che lotta insieme. Lavoriamo in due posti diversi, alle Gru e in via Roma. Ma se vengono assunti solo alcuni perdiamo l’unità. Loro vogliono dividere il gruppo: per abbattere un muro si inizia a infilare solo una pietra, così cade tutto, e loro vogliono usare questa strategia.

Tu ora sei ancora dipendente della ditta?

F. Sì, non siamo ancora licenziati, ma l’azienda ha perso il lavoro. Stiamo già aspettando il licenziamento in qualsiasi momento.

 

Dei lavoratori addetti a camion/logistica quanti prendono parte alla lotta?

A. Se parliamo solo di camion/logistica, siamo quasi trenta persone: sedici qui, quattordici lì alle Gru. Siamo sempre a lottare, quasi tutti, diciamo tutti. Noi abbiamo fatto un gruppo su tutta l’Italia: il 2 giugno abbiamo fatto quasi uno sciopero nazionale. […] L’obiettivo – manifestazione, sciopero – è sempre diretto verso Zara, perché è Zara che ha creato questo problema.

 

In che forma avviene lo sciopero?

A. Per il 2 giugno SI Cobas ha deciso di fare un’agitazione contro Zara, quindi noi abbiamo parlato – e anche Si Cobas ha parlato – con gente che lavora nelle pulizie per fare uno sciopero notturno, e noi del camion lo abbiamo fatto il giorno dopo. Adesso [per quanto riguarda i lavoratori addetti a camion/logistica] non possiamo parlare di sciopero. […] Se loro [delle pulizie] fanno sciopero all’interno sarà un peso grande per Zara. Speriamo di farlo nei prossimi mesi, nei prossimi giorni.

 

Qual è la tua opinione su Zara?

F. La soluzione alla fine dipende da loro: possono risolvere il problema in qualsiasi momento, non so perché non vogliano.

 

Hai ricevuto la cassa integrazione o qualche sussidio del governo?

F. Sì, abbiamo fatto domanda. La maggior parte hanno preso la cassa integrazione, ma ci sono anche quelli che non l’hanno presa. Ci sono dei ragazzi che hanno scoperto che il loro contratto era a chiamata e hanno finito il loro contratto senza un’email, senza nulla. Io sono fortunato ad avere un contratto a tempo determinato.

Quanto hai ricevuto?

F. Io personalmente ho preso due mesi, nove settimane. Me l’hanno versata in ritardo, una-due settimane fa.

 

Da che paese vieni? Quando sei arrivato in Italia?

F. Dalla Tunisia. Nel 2012 sono arrivato qui per studiare. Sono uno studente del Politecnico di Torino, faccio ingegneria aerospaziale. Abitavo vicino al Politecnico; lavoravo per pagare l’università e l’affitto. Ho cominciato a lavorare nel 2015, dopo due-tre anni di studi.

Come sei arrivato qui in Italia?

F. Da solo, con una borsa di studio del mio paese. Ho fatto un anno di lingua italiana a Tunisi; poi ho fatto una richiesta di iscrizione al Politecnico, hanno accettato e sono arrivato qui. Ho fatto una domanda di borsa di studio, ma purtroppo non me l’hanno concessa.

A. Dal Marocco. Sono venuto qui solo per studiare. Ora sto per finire la magistrale, indirizzo di idraulica. Non ho una borsa di studio: l’avevo nei primi due anni; adesso sono fuori corso.

 

Che cosa pensi del fatto che uno studente sia costretto a lavorare per pagarsi l’università?

F. È un sacrificio. Ho fatto la triennale in otto anni, perché dovevo lavorare, studiare, ero lontano dalla famiglia. Poi essere uno straniero che studiava e lavorava… Ora ho fatto una domanda di accesso alla laurea magistrale, ma non mi hanno risposto fino ad oggi.

 

Pensi che ci siano dei pregiudizi per il fatto che sei straniero? Dove li senti di più: lavoro, università?

F. All’università. Qui siamo tutti studenti, tutti uguali, come una famiglia quasi. Per forza ho provato questo sentimento.

 

Pensi di fare domanda per la cittadinanza?

F. Non ancora. C’è bisogno di dieci anni di residenza. Ma non penso di volerla fare: sono tunisino, amo il mio paese. Non c’è bisogno di avere la cittadinanza per stare qui.

 

Come ti immagini il tuo futuro?

F. È una domanda difficile. Speriamo sarà meglio. Speriamo di trovare un lavoro migliore di questo, con i miei studi, con le mie due lauree. Tra questi ragazzi ci sono tantissimi ingegneri, studenti del Politecnico: c’è chi fa ingegneria biomedica, ingegneria civile…

A. Dipende dal lavoro: qui il lavoro degli ingegneri civili… Diciamo che adesso lavoro tutto indirizzato verso il Golfo, oppure verso i paesi arabi. Se trovo qualcosa, oppure, avere esperienza, poi magari torno al mio paese. Qua è difficile avere un lavoro: nel settore edilizio l’Italia più o meno sta facendo solo ristrutturazioni.