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Chi se ne frega della salute.

Pubblichiamo un’intervista ad un lavoratore nel settore sanitario che ci ha raccontato come è cambiato il suo lavoro durante la pandemia.

D: Che tipo di lavoro fai? Con che contratto sei inquadrato? In che tipo di struttura lavori?

R: Lavoro come fisioterapista in un centro semiresidenziale diurno per una cooperativa sociale ONLUS ed effettuo anche servizi domiciliari per una S.R.L. Entrambe le strutture in cui lavoro sono convenzionate con le ASL. Ho aperto partita IVA quando ho cominciato ad esercitare la professione.

D: Raccontaci brevemente quali mansioni prevede il tuo lavoro?

R: Riabilitazione in ambito neurologico, ortopedico, pediatrico e geriatrico.

D: Come mai ha scelto di lavorare nel campo della sanità? Pensi che il tuo lavoro sia essenziale?

R: Perché in passato sono stato guarito più volte dal personale sanitario. Penso che l’educazione all’autocura sia fondamentale e che qualunque altra forma di medicina che non punti all’autonomia delle persone per la presa in carico di sé stesse sia a forte rischio di conflitto di interessi.

D: Come è cambiato il tuo lavoro nella fase di lockdown?

R: La S.R.L. ha chiuso i servizi per 15 giorni dall’inizio del lockdown. Dopo, alcuni servizi sono stati riconvertiti in parte in teleriabilitazione e differenziati secondo alcune necessità della sanità pubblica (es. ad un certo momento cercavano OSS da contrattualizzare perché fossero loro ad erogare il servizio).

Dopo 25 giorni di blocco anche la cooperativa ha riconvertito i servizi di terapia erogati “in presenza” con un servizio di terapia erogato tramite telelavoro (“teleriabilitazione”).

D: Durante questo periodo ti sei sentito tutelato dal punto di vista contrattuale?

R: No! Sappiamo tutt* più o meno che soluzione contrattuale sia la partita IVA e come venga usata dai datori di lavoro. Nel settore della salute è risaputo che la partita IVA viene usata per massimizzare i profitti a discapito dei diritti dei lavoratori a cui, per la tipologia di lavoro, è richiesta una continuità o comunque un impegno da “contratto” dipendente.

Detto questo nella prima parte dell’emergenza le partite IVA sono state tra le poche figure a beneficiare dei contributi dello stato tramite Inps. Ho percepito dunque 600 euro a marzo (ho lavorato fino al’11) e altri 600 per il mese di aprile (ho ripreso a lavorare in telelavoro la settimana del 20).

Per il mese di maggio invece era previsto il contributo di 1000 euro calcolato sulla differenza del reddito (incassi meno le spese del periodo) per chi avesse avuto un calo del reddito maggiore del 33% rispetto allo stesso bimestre dell’anno precedente. Questo contributo non mi spetterà perché per motivi casuali, nel suddetto bimestre dell’anno precedente, avevo guadagnato una cifra bassa a fronte di spese alte, perciò molto simile a quella del periodo attuale influenzata dalla pandemia.

D: Emotivamente come è stato smettere di lavorare temporaneamente?

R: Per il livello di burnout a cui ero soggetto, non nego che all’inizio è stato salutare avere una pausa.

D: Con la ripresa delle attività in presenza come si è modificato il tuo lavoro?

R: Tornare a lavoro per S.R.L. ad inizio aprile invece con dispositivi di protezione non adeguati è stato molto frustrante, avvilente e generatore di forte rabbia. Al momento nella regione in cui vivo vige una direttiva in cui non si può lavorare, in presenza, in due centri sanitari contemporaneamente per minimizzare il rischio contagi e dunque ho dovuto fare una scelta, cosi come tutt* le persone che lavorano con me e che come me, lavoravano in due o più posti.

D: La struttura per cui lavori come si è organizzata per fronteggiare l’emergenza covid-19? Che tipo di indicazioni, protocolli hai ricevuto dalla direzione sanitaria?

R: I protocolli ed i DPI sono stati forniti dopo la ripresa dei servizi, per una settimana non riuscendo a stabilire una comunicazione efficace e continua con i miei collegh*, mi sono organizzato in autonomia anche sulla base dei mini-corsi di aggiornamento messi a disposizione gratuitamente sul sito dell’ISS per i professionisti sanitari.

D: I protocolli di prevenzione ti sono stati illustrati in maniera chiara? Sono stati d’aiuto nello svolgimento del lavoro quotidiano? Attualmente hai un equipaggiamento adeguato (DPI)?

R: No! Da segnalare la mancanza assoluta di direttive sullo smaltimento dei DPI in maniera corretta (aspetto che a mio parere rispecchia profondamente la nostra cultura egoista e della disattenzione per ciò che non nuoce se stessi).

L’unico DPI serio in dotazione è una mascherina modello 4255 del marchio 3M, che abbiamo saputo dai nostri datori di lavoro essere sicura solo per noi e non per i pazienti che siamo andati ad assistere. Solo dopo 3 settimane ci hanno detto di indossare un’altra mascherina sotto l’altra che bloccasse i droplet in uscita (cosa anche altamente scomoda e che impedisce alla maschera 3M di aderire in maniera efficace al viso creando canali d’aria).

D: Come giudichi la gestione della pandemia rispetto al tuo settore?

R: Una ruberia, sicuramente un giocare con la vita altrui in maniera incompetente e superficiale mentre si è occupati a fare i conti col pallottoliere. Mi permetto di fare una citazione che è valsa per le emergenze fin qui vissute e per quelle a venire se nulla cambierà: “non c’è nessun profitto nel prevenire le crisi future”.

D: Credi che questa crisi sanitaria possa portare ad una consapevolezza maggiore della sicurezza intesa come sanità e salute pubblica?

R: Lo spero col cuore. Credo però che non si possa “riformare” la sanità senza rompere il ricatto del debito, senza tagliare gli stipendi dei dirigenti, senza slegare la “cura” (estesa anche alle dimensioni del prendersi cura e non solo della “guarigione”) dalla quantificazione in una paga oraria.

Inoltre l’altro problema che personalmente evidenzio è che anche una sanità pubblica che lavori sulla “guarigione” senza incidere sulle determinanti sociali ed ambientali della salute porterà sempre ad una società frammentata e medicalizzata (laddove può essere un business) o volta solo a riparare i corpi della “forza lavoro”.